Quanto è avvenuto a Roma a partire dal 19 agosto scorso, quando è iniziato lo sgombero di uno stabile di proprietà di un fondo di investimento occupato da dei rifugiati etiopi ed eritrei, ha reso evidente quanto accade quotidianamente in tutto il paese. La violenza esercitata per mettere in atto lo sgombero dei rifugiati in Via Curtatone, l’accanimento contro coloro che dopo lo sgombero erano rimasti in Piazza Indipendenza, il barbaro inseguimento a Termini di persone a cui ufficialmente lo Stato italiano sta garantendo la tutela dell’asilo per le persecuzioni che subiscono nei propri paesi d’origine, ma che vengono anche qui braccate, ferite e offese proprio dagli apparati statali. Questo è ciò che accade tutti i giorni, non solo ai rifugiati ma a tutti noi, su scala diversa magari, durante le retate contro gli ambulanti sulle spiagge e nei mercati, durante i controlli d’identità sulle strade e nelle stazioni, durante le manifestazioni nelle città, durante i picchetti sui posti di lavoro, durante gli sfratti e gli sgomberi, nelle piazze che si animano la sera, come a Torino, nella quotidianità delle operazioni di un commissariato di polizia o di una stazione di carabinieri, come ad Aulla. Negli ultimi anni, per governare la crisi, si è registrato un inasprimento del controllo sociale, un tangibile rafforzamento dei poteri delle forze incaricate della sicurezza interna e dell’ordine pubblico. L’attuale ministro degli interni Minniti, che si appresta ad emanare nuove direttive per lo sgombero degli edifici occupati, si è distinto per i suoi recenti provvedimenti, che si realizzano nell’irrigidimento della repressione e del controllo di migranti e rifugiati e negli interventi per il decoro e la sicurezza urbana, nella caccia a chi vive in strada e nel il “daspo urbano” a chi fa il giocoliere in strada o a chi protesta a voce un po’ più alta del solito. Ma i gravi fatti di Roma non sono rappresentativi solo per l’arroganza del potere e la violenza esercitata in piazza dalle forze dell’ordine, essi mostrano infatti ancora una volta come funzioni la polizia.
Durante l’inseguimento dei rifugiati verso la Stazione Termini il 24 agosto scorso un funzionario ha ordinato ai suoi sottoposti la condotta da tenere con coloro che avessero opposto resistenza: “Devono sparire, peggio per loro. Se tirano qualcosa spaccategli un braccio”. Perché quando durante un inseguimento un funzionario grida delle indicazioni ai suoi sottoposti sta dando degli ordini. Questa scena, ripresa in un video, è stata resa nota dalle principali testate giornalistiche ed ha suscitato ampia indignazione. La Repubblica e il Fatto Quotidiano hanno segnalato che non si tratterebbe della prima occasione in cui il funzionario in questione si sarebbe distinto sul campo per il suo zelo. In particolare il Fatto Quotidiano segnala che si tratterebbe dello stesso funzionario che ha ordinato il 21 febbraio scorso le cariche sui tassisti che protestavano davanti alla sede nazionale del PD; lo stesso che gestiva l’ordine pubblico il 12 maggio del 2016 al Campidoglio, quando la piazza in cui manifestavano i movimenti di lotta per la casa venne spazzata da manganellate e idranti, con cariche anche lungo la scalinata; lo stesso che il 29 ottobre 2014 ordinò sempre in Piazza Indipendenza a Roma la carica a freddo contro il corteo degli operai della AST di Terni assieme ai segretari nazionali della FIOM e della FIM che intendevano raggiungere la sede del Ministero dello Sviluppo Economico imboccando Via Solferino; lo stesso funzionario che a Livorno ordinò il 1 dicembre 2012 la carica di polizia e carabinieri contro un presidio di poche decine di persone in zona pedonale, operazione che provocò diversi contusi e feriti.
Già nel 2016 il Comitato “Livorno non si piega” aveva sostenuto che il funzionario responsabile dell’ordine pubblico in Piazza Cavour il 1 dicembre 2012 a Livorno, il Dott. Zerilli, era lo stesso funzionario di polizia che aveva ordinato le cariche a Roma nell’ottobre del 2014 contro gli operai delle acciaierie di Terni. A Livorno era giunto nel febbraio 2011 come Capo dell’Anticrimine, dopo esser stato nel Reparto mobile di Genova, nei Nocs, nella direzione centrale Antidroga, nella squadra mobile di Roma e nel gabinetto regionale di polizia scientifica, come segnala il Tirreno, che lo definisce un “vero operativo”. Fu lui quindi il primo dicembre del 2012 ad ordinare la carica contro un presidio in zona pedonale che stava di fatto per concludersi. Si trattava infatti dell’ultima tappa di un presidio itinerante con interventi al megafono nelle varie piazze del centro, per protestare contro contro le cariche avvenute il giorno prima, 30 novembre 2012, alla Stazione Marittima di Livorno durante una contestazione a Bersani che, allora segretario del PD, stava concludendo la campagna per le primarie nelle quali disputava con Renzi. Il primo dicembre in piazza Cavour le cariche immotivate e senza preavviso ordinate dal dirigente dell’anticrimine alle squadre di polizia e carabinieri provocarono contusi e feriti tra le poche decine di manifestanti e tra i passanti, numerosi in una piazza del centro cittadino piena per il sabato pomeriggio. La violenza delle cariche suscitò una forte indignazione in città, tanto che il giorno successivo almeno mille persone scesero in piazza contro la violenza della polizia e per affermare la libertà di manifestazione. Neanche due mesi dopo i fatti del dicembre 2012 il funzionario venne trasferito a Roma all’ispettorato del Viminale. Da allora ha continuato a far carriera come dirigente, guidando alcuni dei più importanti commissariati della capitale, fino ad essere incaricato quest’anno della dirigenza del centralissimo Commissariato Trevi Campo-Marzio di Roma.
Questo conferma, a chi ancora avesse dubbi, come lo zelo repressivo venga non solo coperto, ma premiato e promosso nella Polizia. Se il funzionario non avesse detto davanti alle telecamere quelle “frasi improvvide” come le definisce il Capo della Polizia di Stato Gabrielli, probabilmente non avrebbe avuto difficoltà a diventare Questore, e non è detto che non vi riesca comunque. Dopotutto chi era Questore a Livorno durante i fatti del dicembre 2012 e rivendicò “la linea dura”, l’ex arbitro Cardona, è ora Questore di Milano nonostante una condanna penale.
A Livorno un Ispettore di Polizia, Basilio Curasì, è stato condannato nel 2016 per le lesioni provocate ad una passante durante le cariche di Piazza Cavour del primo dicembre 2012. La donna, madre di un giovane manifestante che passava per caso, era stata colpita alla testa con una pesante ricetrasmittente dall’ispettore che era incaricato di fare da autista al Dott. Zerilli che quel giorno era appunto responsabile della piazza. Una sentenza significativa. Probabilmente necessaria una città di provincia dove la gravità degli avvenimenti e la controinformazione messa in atto dalle realtà di movimento aveva creato una certa pressione sulle istituzioni. Allo stesso modo oggi per i fatti di Roma è il dirigente che ordina di spaccare le braccia ad essere messo sotto accusa dalla stampa ufficiale e stigmatizzato dallo stesso Capo della Polizia.
È così che funziona nella polizia come in tutti i corpi gerarchici. Le colpe ricadono sempre sui sottoposti, specie su coloro che non si possono o non si vogliono coprire, magari sacrificabili per scambi o conflitti tra gruppi di potere interni all’apparato, e anche se la garanzia d’impunità resta uno dei migliori incentivi per avere una truppa fedele, se c’è bisogno un colpevole di comodo lo si trova sempre. Ma colpevoli di cosa? Chi manganella per ordine di un superiore impugnando correttamente il manganello svolge il suo dovere ovviamente, chi ordina in modo professionale agli agenti di una squadra antisommossa di caricare dei manifestanti che oppongono resistenza, sta svolgendo il proprio incarico. Alcuni “democratici” potrebbero affermare che lo Stato detiene il monopolio della forza e che se questa è esercitata, anche attraverso la polizia, nel rispetto della legge che tutela i diritti dei cittadini, non vi è niente di male. In effetti questo sarebbe già un traguardo se si considera che spesso è proprio la forza pubblica ad intervenire in modo improprio ed illegale. Ma è possibile che un corpo chiuso e gerarchico possa accettare di perdere privilegi, impunità e potere? E soprattutto chi e cosa tutela la legge? La libertà oppure la proprietà? L’uguaglianza oppure l’autorità?
I fatti di Roma e quello che rappresentano, specie in un contesto di involuzione autoritaria come quello attuale, devono far riflettere. Dove può condurre la “democraticità” dello Stato e dei suoi apparati? Da quasi dieci anni nelle nostre città l’esercito, spesso con armi da guerra, pattuglia le strade. Cosa vogliamo vedere ancora prima di capire che non solo possiamo, ma dobbiamo, abolire la polizia, l’esercito, lo Stato?
DA